Il tono complice, schietto, mai banale e mai incline a svenevoli effusioni, Raffaele Viviani con sua moglie Maria Di Majo, non lo perse mai. La figura di questa donna, compagna di vita, a cui l’attore e commediografo, nel corso delle sue lunghe e faticose tournèe – compresa quella fortunatissima in Sud America – scriveva accorate lettere, telefonandole svariate volte nell’arco della giornata, emerge al fianco di uno dei geni del teatro. E allora ci si rende conto che i successi sono costellati di piccoli miracoli mai solitari. E neanche quelli di Viviani lo furono.
La conobbe al teatro Nuovo, bella, diciottenne, ventiquattrenne lui. Dopo alcune iniziali riluttanze la famiglia accettò quel matrimonio. E da allora Maria fu la “spalla” di tutte le vicende legato al teatro e alla vita di Viviani. Era proprio l’altra metà della mela. Nel libro “Doje parole” di Paola Cantoni, linguista e ricercatrice, che riporta una parte dell’epistolario tra Raffaele e Maria, tutto questo mondo a due è decisamente ben reso. Maria è il forziere di tutti i pensieri, tutte le preoccupazioni, e attenzioni che le affida e rivolge Raffaele. Ne è anche la prima critica, la penna occulta, l’impresaria, l’amministratrice. Raffaele a lei consegna tutto il suo mondo. E Maria lo custodirà gelosamente, con il suo essere discreta, educata, ma estremamente presente. A lei affida tutte le ansie di un periodo non facile per quasi tutte le compagnie teatrali, perché il periodo era esattamente quello della guerra e del fascismo e non si trovavano né teatri, né il pubblico, composto spesso, per lo più, da militari. In pratica si recitava sotto i bombardamenti. Però questa donna fu per Raffaele Viviani l’attesa quando erano lontani, la realizzazione quando riuscivano a riunirsi.“Gioia, Rafeluccio te saluta” le scrive congedandosi. Dalle lettere si comprende il loro rapporto in tutte le sue sfaccettature. Scrive l’autrice del libro Paola Cantoni “Ricca, tuttavia, la gamma di variazioni nelle formule di esordio, che vanno dal grado zero dell’assenza, al non marcato Cara (rari casi), fino alle soluzioni affettive (le più frequenti): Amore, Gioia, Gioia mia, Amore mio, gioia di Raffaele; o alle enfatiche: Amore mio adorato, Amore mio santo; in qualche caso il richiamo allocutivo diretto apparenta la lettera ad un colloquio parlato: Amore!” A volte la chiama ‘Donna Maria’, alcune, scherzosamente, ‘Signò’. Da dietro le quinte Maria fu la voce fuori campo, la testimone dei successi condivisi e dei momenti bui, non per aderire a quello che era all’epoca il ruolo della donna e cioè di sposa e madre, come dettava la narrazione ufficiale, ma perché il rapporto con Raaffaele, Rafè, fu sempre autentico, vivido. E vero. Al di là di tutti i cliché. L’archivio Viviani è stato donato dagli eredi e consegnato da Giuseppe Longone alla Biblioteca Nazionale di Napoli.
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