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I giovani, la garanzia del futuro e il ruolo della scuola pubblica

Gli adulti, da tempo, nel dialogo con adolescenti e ragazzi si pongono con il presupposto di educarli, istruirli, formarli ed orientarli, quindi immaginando di fare da guida alle nuove generazioni. Un dialogo che, troppo spesso, si riduce ad un monologo, una lezione, una sorta di orazione. Infatti, il mondo di noi adulti raramente si propone di “ascoltare” i giovani, la loro voce, i loro pensieri, le loro richieste che, il più delle volte, si manifestano all’opinione pubblica solo quando emergono attraverso il dissenso, con proteste e manifestazioni.
Modalità che il pubblico adulto spesso condanna a prescindere, perdendo l’occasione di ascoltare le richieste e la volontà di partecipazione del mondo giovanile. Eppure è proprio nella presa di coscienza dell’età della formazione che lo scetticismo e la rinuncia adulta potrebbero trovare un rimedio, proprio in quel momento in cui la disuguaglianza è ancora inaccettabile e immaginare una realtà diversa è possibile.
Proprio per questo, la scuola ancora oggi resta un luogo privilegiato per l’esplorazione del mondo e per imparare a confrontarsi. Essa occupa la stragrande maggioranza della giornata di un giovane e diventa il primo luogo dello spazio pubblico che i giovani desiderano vivere consapevolmente. Anche se alcuni di loro, la scuola più che viverla spesso sentono di subirla.
La scuola italiana dovrebbe essere uno spazio dove si impara tutti insieme a costruire la democrazia, dove dovrebbe trovare spazio anche l’educazione politica.
Invece capita che laddove si intravede una manifestazione studentesca particolarmente partecipata, possa levarsi qualche voce che dice: “A scuola si studia, non si fa politica.”
Il problema è che capita che la scuola dia l’impressione di essere restìa a insegnare l’autonomia di pensiero e comportamentale, il pensiero critico, la libertà di espressione e quindi la partecipazione politica.
Il ruolo dei giovani all’interno dell’istituzione scolastica dovrebbe essere quello di individui che collaborano alla riflessione e alle decisioni su quei progetti educativi di cui loro stessi sono i fruitori. Dovrebbe, ma purtroppo non è quasi mai così.
Troppe volte i giovani si sentono pressati dal paternalismo e dal giudizio degli adulti. Troppe volte la politica sembra un contesto, un’attività per minoranze di giovani militanti.
La verità è che i giovani rivendicano la volontà di esserci e partecipare e non vogliono che la scuola sia solo un giudizio, una valutazione o un attestato.
I giovani chiedono di più, hanno il diritto di chiedere di più.
Di conseguenza, noi, gli adulti, le Istituzioni siamo pronti ad offrire questo “di più”?
Qualcuno ha detto, sarebbe bello se gli adulti smettessero, a un certo punto, di scambiare i propri traumi giovanili per importanti esperienze di formazione, e che il “si è sempre fatto così” non fosse visto più una formula magica per giustificare decennali incapacità educative.
Perché se è vero che le difficoltà ci formano, è anche vero che non sono le difficoltà in sé a farlo, ma la capacità, per farvi fronte, di utilizzare strumenti, emozionali o materiali.
Concludendo, ma certamente non in maniera specifica ed esaustiva si potrebbe sostenere che finché ci saranno le disuguaglianze a disunirci, le difficoltà non avranno lo stesso impatto formativo su tutte e tutti.

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Giovedì, 13 Marzo 2025 -
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